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SPORT

Se la sua etimologia è abbastanza controversa, sappiamo per certo che lo sport organizzato nacque nell’antica Grecia come rituale per onorare i defunti anche se, almeno agli inizi, era ad appannaggio dei ceti sociali elevati e della classe guerriera, ma furono i romani a rendere popolare la pratica sportiva, ammesso e non concesso che quelli praticati nelle arene dell’orbe latino potessero definirsi sport come lo intendiamo noi oggi. Con l’affermarsi del cristianesimo, però, lo sport iniziò ad assumere connotati meno truculenti tant’è che nel Medioevo, a torto ritenuto l’evo dei secoli bui, in Europa nacque un gioco di squadra, ossia di coordinata collaborazione praticato ancora oggi, il Soule, che poi sarebbe il progenitore dell’odierno calcio. Fu, però, col Rinascimento che lo sport cominciò ad essere concepito nell’ambito di un processo educativo che si rivolgesse all’anima e al corpo: nacque così lo sport pedagogico o, se vi pare, la ginnastica come disciplina e materia di studio. Ma quali che siano state le sue origini, a noi preme ricordare che lo sport è fondamentale ad ogni età, non soltanto per mantenersi tonici ed attivi, ma soprattutto per imparare a competere nella vita, un’attività questa tanto più utile ed apprezzabile se volta con lealtà. Anzi la lealtà dovrebbe essere la condizione indispensabile per ogni pratica sportiva e, soprattutto, pratica di buona vita come ricordò in un’intervista uno sportivo tanto insolito quanto autorevole, papa Francesco: «Lo sport è tutto ciò che abbiamo detto: fatica, motivazione, sviluppo della società, assimilazione delle regole. E poi è divertimento: penso alle coreografie negli stadi di calcio, alle scritte per terra quando passano i ciclisti, agli striscioni d’incitamento quando si svolge una competizione. Trombe, razzi, tamburi: è come se sparisse tutto, il mondo fosse appeso a quell’istante. Lo sport, quando è vissuto bene, è una celebrazione: ci si ritrova, si gioisce, si piange, si sente di “appartenere” a una squadra. “Appartenere” è ammettere che da soli non è così bello vivere, esultare, fare festa». 

La visione, i ricordi del Pontefice a proposito dello sport costituiscono certamente il viatico spirituale per uno sportivo e/o tifoso, ma non bisogna trascurare il fatto che lo sport è anche una scelta di vita perché migliora le nostre performance fisiche, ci sottrae per un po’ alla vita frenetica che ormai conduciamo e ci aiuta a svagarci. Già queste, in verità, sarebbero delle ottime motivazioni per dedicarsi alla pratica sportiva, me ve ne sona tante altre ancora. Lo sport, professionale o amatoriale che sia, se praticato con passione è un “serbatoio” di valori positivi perché aggregante e, soprattutto, istruttivo per la nostra crescita personale perché induce, sebbene il più delle volte non ce ne accorgiamo, a praticare ed a coltivare valori che sono imprescindibili dalla pratica sportiva, come il senso della collaborazione, la competizione, la costanza, la disciplina, l’etica e l’autostima per citarne alcuni.

Per la sua capacità aggregante, lo sport dovrebbe trovare più spazio nei programmi della scuola anche per combattere il bullismo, perché sarebbe davvero strano che un ragazzo o ragazza che pratichi una disciplina sportiva dove si insegna il rispetto verso l’allenatore (insegnante) e i compagni di squadra senta poi la necessità di bullizzare i coetanei. Il nostro amore per lo sport, l’esortazione che rivolgiamo a tutte le istituzioni affinché non trascurino i suoi molteplici, benefici effetti su giovani e meno giovani non ci impedisce di vedere la realtà con disincanto, che è quella di una società votata all’individualismo, al successo ad ogni costo e alla brama di profitto, dimenticando pian piano che lo sport parte dalle qualità individuali per esaltare gli sforzi collettivi, della squadra per intenderci: come un pessimo uomo non potrà mai essere un buon cittadino, così un egoista, un bulletto non diverrà mai un grande sportivo. Specialmente nello sport che si pratica in quella grande 42 palestra della vita.